Saturday, September 29, 2007

Friday, September 28, 2007

Operazione US Open Series: ma quanto mi costi?

Una volta verificati orari, itinerari e prenotazioni, mi imbatto nel piatto forte del sito internet degli USOS: il regolamento, la cui lettura risulta rivelatrice dell’essenza dell’operazione, un’idea realmente seducente, concepita tra le pareti del sancta sanctorum del tennis americano. La Federazione americana – USTA che sta per United States Tennis Association – ha la nobile missione di evangelizzare al tennis un popolo che in genere predilige altri sport, un compito tuttaltro che semplice, in funzione del quale si è adoperata per indurre il maggiore numero di top player – quelli che invogliano gli spettatori a comprare i biglietti anche per i primi turni e soprattutto permettono agli organizzatori dei tornei di alzare la posta con gli sponsor – a giocare i tornei sul cemento americano. Nel tennis è guerra aperta tra le Federazioni e gli organizzatori di torneo per accalappiare a suon di dollari gli atleti simbolo. L’USTA, per vincere la concorrenza europea , ha deciso di concedere un bonus in denaro ai tennisti che raggiungono i migliori risultati nei tornei che preludono all’ultimo slam della stagione. Il bonus si riscuote con l’assegno staccato dagli organizzatori dello US Open, con il più classico dei meccanismi a incentivo: al vincitore di quella che impropriamente potremmo definire “regular season” , spetta un montepremi maggiorato di un importo che è agganciato al suo risultato a Flushing Meadows. Si va da minimo di 15mila bigliettoni di premio di consolazione, destinato a chi viene sbattuto fuori al primo turno di FM – non è un’ipotesi assurda, è successo con Roddick nel 2005 – al milione di dollari extra che viene scucito nel caso in cui il dominatore della prima fase dovesse imporsi anche nel torneo più importante d’America. Bonus meno sostanziosi spettano anche a chi occupa la seconda e la terza posizione nella graduatoria finale di questa maratona estiva. Il quadro sinottico degli incentivi in denaro viene rappresentato con una tabella.matrice 8X3, comprensibile e autoesplicativa:



Scorrendo la tabella con occhi da contabile si evince che il giochino degli US Open Series potrà costare a chi stacca l’assegno fino a 2.625.000 dollari di extra-premio in denaro, nel caso limite in cui il vincitore degli USOS sollevi il trofeo a New York, il secondo classificato nella race perda in finale dal primo e il terzo classificato chiuda la sua avvertura con una dignitosa semifinale nell’ultimo Slam dell’anno. $ 1.000.000 + $ 250.000 + $ 62.500 = $ 1.312.500 = l’importo massimo del bonus elargibile dalla Federazione statunitense per ciascuno dei tornei di singolare allo Us Open. Tale importo va naturalmente moltiplicato X 2, poichè è nei tornei dello Slam vige il regime di equal prize money, in sostanza le ragazze non vengono più discriminate nella distribuzione dei premi in denaro, con la scusa che non giocano tre set su cinque. Una precisazione doverosa: il cervellotico meccanismo appena descritto non si applica alla disciplina negletta del doppio. Il doppio è poco commerciabile, gli incentivi non funzionerebbero. Una condizione imposta dagli organizzatori ai tennisti: affinchè i punti cumulati nei tornei di prepazione allo showcase finale siano validi e utili ai fini del bonus, è necessario che gli atleti partecipino (e acquisicano punti bonus) ad almeno due tappe dello Us Open Series. Se uno come Roger Federer – che in carriera non ha mai giocato tornei sul cemento tra Wimbledon e l’Open del Canada - dovesse vincere a Montreal e disertare Cincinnati (o viceversa), per incamerare l’eventuale bonus messo a disposizione sarebbe costretto a partecipare al torneo di New Haven.Abbiamo anticipato che le classifiche finali dello USOS si formano sulla base dei punti guadagnati, che vengono distribuiti sulla base del “peso” dei tornei, applicanto il meccanismo illustrato dalla seguente tabella:


Come vedete, ai fini dell’extra premium non vale le legge di De Coubertin. Affinchè la partecipazione ad un evento abbia senso ai fini USOS, è indispensabile vincere quantomeno un paio di partite. Dalle entry list che ho sottomano, leggo che Justine è iscritta soltanto al torneo di Toronto. La numero uno al mondo ha un fisico gracile, per non dire logorato dai trilioni di palle giocate nella sua carriera. Per non rischiare di compromettere la salute gioca poco, tra Wimbledon e lo Us Open, ad esempio, si iscrive al massimo ad un torneo. Se così fosse nel 2007, anche vincendo l’Open del Canada, non avrebbe diritto al premio supplementare in denaro. E’ proprio su questo terreno che si gioca la sfida degli ideatori dello Us Open Series: l’allettante prospettiva di incassare un assegno extra da 1 milione di dollari indurrà gente come la Henin a impreziosire con la sua presenza il tabellone di almeno due tornei della summer hardcourt season? Nutro qualche dubbio a riguardo, per una serie di ragioni: a) i campioni in genere hanno una programmazione abbastanza rigida, molto curata nei dettagli e poco sensibile alle esigenze delle Federazioni; b) i campioni affermati sono così maniacalmente attenti a preservare la salute e a centellinare le energie (il caso Henin è paradigmatico), da diventare anche sordi al richiamo delle sirene dei petro-dollari in caso di rischio infortunio; c) lo Us Open Series non è l’unica strada per rimpinguare il bottino degli atleti simbolo, i percorsi alternativi sono meno più brevi, meno insidiosi e soprattutto non sono legati al risultato sportivo e quindi alla fatica e allo stress della solitudine del tour (sponsor, testimonial, eventi mondani: in questi casi la leva dei guadagni è il brand stesso del campione). Ma è forse meglio non anticipare le conclusioni. I conti e le valutazioni, li faremo alle fine. Sarà l’andamento e la conclusione del road trip nel nuovo mondo a dimostrarci, nei fatti, se l’operazione US Open Series sarà un successo – non solo commerciale - o si rivelerà una grande bolla di sapone.

Thursday, September 27, 2007

Pensieri gratuiti.

Il giornalismo che detesto: quello di certi pensatori, pagati profumatamente peraltro, che usano la statistica per dire ovvietà e, quando pronosticano, non ne indovinano una. La burbanza, piu’ delle ovvieta’, li rende ridicoli.
Il giornalismo che non mi esalta: quello di chi spara addosso alla FIT. O si fa un’inchiesta fatta bene, con tanto di prove documentali e qualche colpo di scena, oppure la cosa muore li' ed e’ realmente poco appassionante per il lettore. Piu’ che di battaglie parlerei di scaramucce. Le scaramucce annoiano.
Il giornalismo un po’ retrò: quello sciovinista, che non guarda oltre le Alpi, perennemente ammantato di tricolore. Il tennis è uno sport individuale – transnazionale per definizione. Perché farsi del male gratuito rimuginando sull’escatologia italica?

Thursday, September 20, 2007

Allacciamo le cinture di sicurezza...(estratto da Cementi di Gloria)

Certo non è ai livelli della Img, ma la sezione del sito Internet della USTA dedicata agli Us Open Series è un chiaro esempio di ingegnosa promozione di un “non evento” sportivo. La promozione di un non evento – come una “sfida nella sfida” – e un’operazione non semplice, che richiede ben più di uno slogan di experiential marketing o di qualche altro ridicolo espediente comunicativo.
Il colore prevalente degli sfondi dei frame nelle pagine html è il blu, nelle sue gradazioni che vanno dalla tonalità acqua marina al blu navy, con una bella grafica, con i titoli in grassetto “16” bianco e giallo, con i testi corredati da foto e video dei top player colti in gesti tecnici esasperati o in momenti di relax. Aperta la pagina iniziale degli Us Open Series, si avvia in automatico la clip dell’evento, girata prevalentemente all’interno di un mega bus dello stesso color blu navy dei frame (che da ora in poi chiameremo blu Us Open Series) guidato da una serafica Serena Williams, con a bordo Roddick e Blake che giocano a black jack, i fratelli Bryan che cazzeggiano come adolescenti in gita scolastica, Maria Sharapova che per qualche secondo concede alla camera un sorriso disteso Lleyton Hewitt che adagiato su una poltroncina lancia il suo truce c’mon di sfida, Martina Hingis che indugia su un contenitore stracolmo di pop-corn, Nadal baldanzoso che mostra il bicipite; qualche inquadratura del centrale di FM e di Roger Federer che si adagia sul cemento dopo l’ultimo punto giocato nella finale del 2006, ed il gioco è fatto, un electro-choc d’intrattenimento della durata di 30 secondi. Una clip d’impatto, quasi contagiosa, che invoglia alla navigazione, con effetto inibente di eventuali domande razionali, del tipo “ma in cosa consiste questo US Open Series?”. Il bus-camper ha anche il suo slogan pretenzioso, stampato a caratteri cubitali sulla fiancata: “US Open Series: The greatest road trip in sports”.
Come ogni operazione commerciale che si rispetti, gli USOS hanno uno sponsor, il marchio Lever 2000 della Lever Faberge – il cui banner campeggia in alto a destra della home - che presenta la sua linea di saponi energizzanti alla Vitamina A, al ginseng o con estratti di Aloe, ideati appositamente per gli sportivi. C’e’ anche una sezione dedicata al merchandise che offre di tutto, dai borsoni alle visiere, dalle felpe al maxi poster del leggendario Andre Agassi, tutto rigorosamente griffato US Open Series.
Le sezioni propriamente informative sono tre: la descrizione dei tornei che formano il mini-circuito; il regolamento di quella che è a tutti gli effetti una sfida nella sfida (il non evento o meta-evento di cui sopra); e le classifiche che verranno aggiornate settimanalmente. Oggi siamo al 13 luglio, alla vigilia del primo di una serie di 13 tornei, e la mia attenzione si concentra sulla prima delle tre sezioni, al fine di verificare che date e luoghi coincidano con quelli risultanti dalle mie prenotazioni di aerei, auto e alberghi.
Il primo Torneo della Serie è a Los Angeles prende il via domani con le qualificazioni, e fin qui ci siamo perchè tra 16 ore parte il mio volo per la città degli angeli. E’ un torneo maschile, come tutti sapete, con montepremi di 525mila dollari, che quest’anno vanta un nuovo sponsor, il gruppo Countrywide Financial, ottava banca statunitense per dimensione dell’attivo patrimoniale . Nella settimana che va dal 16 al 22 luglio, Us Open Series non contempla tornei femminili. In realtà, un Torneo Wta è previsto dal calendario, quello di Cincinnati, ma è privo del rango minimo per poter essere inserito negli mini-circuito USOS . La settimana del 23 luglio prevede due eventi, l’Indianapolis Tennis Championships (torneo Atp da 525mila dollari) ed il Bank Of The West Classic (torneo Wta Tier II da 600 mila). In questo caso sono costretto a scegliere quale dei due seguire e la mia preferenza va al torneo femminile. Non che abbia qualcosa contro la città delle 500 miglia, ma Stanford University – che ospita il Bank Of The West – dista circa 55 km da San Francisco, il posto in cui vivo da sei anni ormai. E per sette giorni potrò fare il pendolare in auto, con il vantaggio di poter giostrare con gli orari quel tanto che serve ad evitare di percorrere la statale 280 nelle ore di punta. Il 30 luglio farò sfoggio delle mie stravaganti t-shirt da surfer a manica lunga in quel di Carlsbad, località della California meridionale che è sede dell’evento noto sotto il nome di Acura Classic (Wta Tier I da 1.340.000 dollari). Per raggiungere Carlsbad da Stanford, in principio avevo pensato di noleggiare un auto, ma il viaggio non è breve – sono più di 650 km – e guidare per ore solo come un idiota ascoltando le hit di Radio Kmel non è il massimo, per cui alla fine ho ripiegato sul volo 3156 America Airlines. Mi imbarcherò la mattina del 30 luglio dall’aereoporto Mineta di San Jose e raggiungerò San Diego in 90 fuggevoli minuti. Il tratto San Diego Carlsbad si copre in 40 minuti di soporifera guida da ragioniere con tre diottrie di miopia, ed in questo caso potrei concedermi l’extra budget di noleggiare una Ford Mustang per contemplare il distensivo panorama della North County sulla Statale 5, talmente vicina al Pacifico da lasciar intravedere non di rado stormi di pellicani. Quello che ha tutta l’aria di essere un confortevole soggiorno presso il La Costa Resort and Spa di Carlsbad mi terrà lontano dal compemporaneo torneo Atp di Washington. Dovrò al più presto farmene una ragione.
Il 6 agosto affronterò la tappa più lunga del Tour, passando dal tepore della brezza del Pacifico all’austerità del vento canadese di Montreal, per seguire il primo Masters Series di questo round trip nordamericano. 6 ore e mezza rinchiuso dentro un Airbus A320, più un ora di purgatorio nella sala d’attesa dell’aereoporto scalo di Detroit (non esistono voli diretti da San Diego a Montreal), per un totale di 3.989 km trasvolati, con conseguente cambiamento di fuso orario e di clima. La contestualità degli eventi mi obbligherà a disertare l’ultima tappa californiana di questa summer league, l’East West Bank Classic presentato da Herbalife (Wta Tier II da 600mila dollari), anch’esso in programma per il 6 agosto. Resterò in Canada fino al 20 del mese, anche se a partire dal 13 il contesto sarà mutato: dall’aspro teatro del fiero indipendentismo quebechiano, si passerà al raggelante ordine dei centri commerciali di Toronto, dove è di scena la Rogers Cup (Wta Tier I da 1.340.000 dollari). Il protrarsi della trasferta canadese preserverà la mia schiena malandata dallo straziante caldo umido del Mid West, in mezzo al quale ogni anno il Gotha del Tennis si contende il Masters Series di Cincinnati.

La mia avventura si concluderà la settimana del 20 agosto a New Haven, Connecticut, dove avrò la possibilità di seguire un evento combined, il Pilot Pen Tennis , presentato da Schick e ospitato dal Campus del blasonato ateneo di Yale. Da Toronto a New Haven, con scalo a Philadelphia: al prezzo stracciato di 256 dollari la US Airways non può offrirmi altro che un volo su un vecchio Boeing 737 serie -400, che sarà pure tecnologicamente arretrato rispetto all’Airbus A320, ma resta pur sempre un mezzo di trasporto aereo statisticamente efficace . Il vero problema sarà la levataccia o, più precisamente, la notte in bianco trascorsa a Toronto, poiché il volo US1907 per Philly decollerà alle 6.45 dall’aereoporto internazionale Pearson. Questo implica che dovrò essere in coda al check-in non più tardi delle 4 del mattino e che dovrò prenotare un taxi destinato all’aereoporto non oltre le 3.20.
San Francisco, Los Angeles, Stanford, Carlsbad, Montreal, Toronto,New Haven e ritorno a San Francisco, per un totale di 11.312 km di volo percorsi in sei settimane. All’avvio di Flushing Meadows sarò talmente nauseato dalla crapula di tennis, che ascolterò musica classica per almeno cinque ore al giorno per ritemprare l’udito a lungo tormentato dal pang della palla colpita nello sweet spot.

Saturday, September 15, 2007

Cementi di gloria. Reportage sugli US Open Series 2007. Introduzione.

Nonostante il forte commitment a livello editoriale e la dissennata ostinazione dell’autore nell’auto-proclamarsi cronista d’assalto, la presente opera è tutto fuorché un fedele reportage. Ovviamente i dialoghi riportati non sono stati registrati nè, conseguentemente, trascritti. Ciò ha richiesto all’autore duplice sforzo di ricordarne l’esatto contenuto e di contenere i frequenti tentativi di manipolazione, miranti ad abbellire o comunque a rendere più surreali frasi del tipo: “E intanto Roger Federer ha annullato due palle break e conduce quattro giochi a tre”. L’opera inoltre difetta di completezza e organicità, poiché alcune sezioni sono state per varie ragioni volutamente omesse, altre sono state tagliate in una seconda fase per non appesantire eccessivamente l’impianto del reportage. Gli accadimenti descritti e commentati, comunque, sono tutti realmente avvenuti, anche se di tanto in tanto l’autore si è concesso qualche libertà nel ridurre o nell’ampliare, a seconda dei casi, il numero dei protagonisti, essendo questo un suo diritto in quanto ex-allievo modello della scuola di scrittura creativa “John Barth” di Cesano Maderno.

Se l’idea della nonfiction vi procura l’orticaria, siete invitati a compiere le semplice operazione mentale di fingere che sia tutta una finzione. Fingete di trovarvi dinanzi ad una puerile pantomima, tramite la quale un cronista di serie B si improvvisa narratore. L’autore stesso vi propone di divertirvi – con la speranza che la cosa vi diverta - a far girare l’impercettibile chiavetta dell’immaginazione per cambiare nomi, luoghi, risultati dei match, vincitori dei tornei, in modo da rendere il tutto molto più adeguato al gusto personale e alle preferenze tennistiche di ciascuno di voi. Ad esempio se vi disturba il fatto che Roddick sia un giocatore vulnerabile o che Federer possa perdere da quel geniale moccioso di Djokovic, con quell’inguardabile marmotta che riposa sulla sua testa, sentitevi liberi di riscrivere la storia dei match che li riguardano. Se desiderate che Volandri vinca qualche partita sul cemento americano, non lesinate sul numero e sulla qualità del tennis giocato. Dotate la Dementieva di una prima di servizio robusta, di difficile lettura, e di una seconda molto lavorata, con effetto a uscire.

Sottoponete la Jankovic allo stesso trattamento utilizzato per la tennista moscovita e, giacchè ci siete, rimuovete dalla sua parte destra (o sinistra?) del cervello il complesso d’inferiorità verso Justine Henin. Enfatizzate i C’Mon di Hewitt o glissate su di essi, a vostro piacimento. Siate creativi. Se non accettate il fatto che il Rexall Centre – sede degli Open del Canada femminili di Toronto - sia semi-deserto nel giorno delle semifinali, ponete pure l’accento sul tutto esaurito dell’impianto in quella data; in fondo state mentendo per il bene del Tennis. Osate. Se la notizia della conclusione della love story tra Martina Hingis e Radek Stepanek vi ha spezzato il cuore, non indugiate nell’ideare un happy end caramelloso che vede i due ricongiungersi dopo mille tormenti e qualche scivolone nel ranking. Naturalmente avete piena facoltà di cambiare anche il nome del protagonista, e farlo diventare, chessò, “il Sedicente Giornalista”, “Joe Cloroformio”, “Kolumnist”, “Repubblicano Newyorkese”, “Democratico dell’Oklahoma”, “Pancho il Sinistrorso”, “Salim la Locusta”, “Hugo lo Sciamano”.

Le menti più creative possono sfrondare le sezioni dedicate al tennis e dare al reportage un taglio più picaresco. Ad esempio, la parte dedicata all’analisi dell’arsenale dei colpi a rimbalzo di Vince Spadea può agevolmente essere omessa a favore del report di una notte infuocata trascorsa con una cameriera portoricana in motel di Redondo Beach. La digressione sul “favoloso mondo di Sania Mirza” può tranquillamente essere ridotta all’osso, per far posto ad un resoconto sulle leccornie gustate tra un inno nazionalista e l’altro all’interno di un accogliente ristorante basco (a conduzione familiare) sulla Mission Street, a San Francisco. Che senso avrebbe dilungarsi sul fragore del grugnito di Maria Sharapova o sulla discontinuità del rendimento del suo servizio quando vostro nipote intende render pubblico il suo diario su una fantasmagorica giornata trascorsa nel covo dei pirati del parco dei divertimenti di Legoland (a Carlsbad)?

Scacciate dalla mente ogni dubbio sulla qualità del vostro intervento e sull’eventualità che esso possa compromettere l’attrattività originaria dell’opera. L’autore vi assicura a priori sul fatto che esistono (e sono stati pubblicati) lavori di gran lunga, ma di gran lunga peggiori. Qualche esempio di micidiale boiata? La materia calcistica offre un vasto campionario di composizioni sconcertanti, tra le quali vale la pena di segnalare il saggio sulla moviola in campo e sul ripristino del sorteggio integrale (senza fasce) per la designazione dei direttori di gara, scritto da Giampaolo Parolai e il libro-inchiesta sulle notti brave dei calciatori italiani, prodotto del vulcanico ingegno di Mariano Julius De Oratiis (con allegato un cd-rom contenente un reportage fotografico di circa 400 scatti rubati alla movida pallonara), concluso con la prevedibile richiesta di azzeramento dei vertici della Lega e della FederCalcio e di contestuale nomina governativa di Presidenti a Amministratori di garanzia.

Se trovate convincente la rielaborazione dei contenuti, l’autore vi invita caldamente a non indugiare nell’opera di divulgazione, e vi propone di spedire una copia del manoscritto (o del floppy disk contenente la totalità delle modifiche apportate) al seguente indirizzo: 802 Arguello Street - San Francisco, CA 94118, o, in alternativa, di inviare il file contenente il testo riscritto in allegato – possibilmente privo di virus – ad una e-mail indirizzato a pricaldi@yahoo.com In segno di riconoscenza della vostra solerzia riceverete in cambio il Video-Backstage del reporatage, 25 minuti di adrenalina pura con sequenze mozzafiato la cui visione corroderà la vostra psiche. L’autore avra’ cura di assemblare l’intera produzione e si impegna fin da ora a pubblicare a sue spese un’opera collettanea dal titolo provvisorio “Rivisatazione romanzata del brogliaccio di Paolo Ricaldi sugli US Open Series 2007”. L’autore, infine, desidera ringraziare in anticipo quanti contribuiranno a migliorare gli aspetti tecnici e la qualità generale di questa sghemba ricostruzione di una stagione tennistica a dir poco memorabile.

CHIAVE DI LETTURA DEL REPORTAGE. Molti di voi converranno sul sillogismo in base al quale la spazzatura non potrà mai essere eletta a forma d’arte; l’egocentrismo è spazzatura; l’autocelebrazione mascherata da nonfiction è un’operazione subdola e priva di ogni dignità artistica.

ANTEFATTO. Nei mesi che precedettero la composizione di questo reportage, l’Autore ebbe un breve ma intenso scambio di battute con un certo Kenichi, per gli amici Ken o Kenny, iper-competente commesso di Amoeba Music – il negozio di dischi preferito da giovani e meno giovani alternativi californiani – che a San Francisco ha la sua logisticamente indovinatissima sede al 1855 di Haight Street, nel cuore del quartiere Haight-Ashbury, luogo simbolo della contro cultura americana. Kenny Yamamoto – l’Autore conosce anche il suo cognome perche’ viene da questi periodamente inondato di spamming sui nuovi arrivi e sulle hit del momento, il cui mittente per l’appunto è ken.yamamoto@amoeba.com - è lo stereotipo del figlio naturale della cosiddetta Generazione Z, cresciuta a pane, skateboard e tecnologia di largo consumo, che disprezza gli show nazional popolari come American Idol e si identifica nell’universo (microcosmo?) tratteggiato dai film di Kathryn Bigelow. Kenny incrociò l’Autore nel reparto vinili usati di Amoeba, mentre quest’ultimo curiosava tra i classici reggae dello Studio One, lo salutò e gli chiese come andava con i suoi articoli, cosa c’era di nuovo, se i giapponesi vinceranno mai un torneo dello Slam (da verificare). L’Autore disse che scrivere di tennis stava diventando maledettamente ripetitivo, che lo sport in quanto tale è troppo ancorato alla realtà e si presta poco a recepire le imbeccate della sua immaginazione e altre affermazioni non (in)degne di nota. Capisco disse il commesso, che indossava una trasparente, quasi priva di consistenza camicia bianca di batista, ma se fossi in te non mi preoccuperei affatto di quello che scrivo, di come lo scrivo e di chi lo legge. Tanto domani sarà tutto dimenticato e nulla sarà riparato. Wow! Grandioso, no? L’inebetito autore sorrise d’istinto ma subito dopo corrugò la fronte palesemente confuso: ignorava che il suo conoscente stesse citando Milan Kundera (lo Scherzo, 1969). Ad ogni modo quell’aforisma ebbe un efficacia più profonda, anche se differita nel tempo, poiché l’Autore, a distanza di tre mesi da quel simpatico siparietto, ripensò a quelle parole e a quell’aforisma, prima di accettare un offerta editoriale che gli venne presentata più o meno con le testuali parole: “vai, giri per tornei alla grande, torni e racconti quello che hai visto”.

Terza di Copertina.

"Cementi di Gloria" è l'opera prima di Paolo Ricaldi, aka Mr. Pemulis, che nell'estate 2007 ha girato in lungo e largo i tornei di preparazione agli Us Open - il c.d. minicircuito chiamato Us Open Series - è tornato sano e salvo, anche se un po' intossicato di Tennis, e ci ha raccontato quanto visto, sentito e percepito nel Nuovo Mondo.
In questo reportage, che è un viaggio picaresco nel nordamerica, intorno al "vuoto" dello showbiz, l'autore alterna con grande potenza espressiva cronache sportive esilaranti, pagine di letteratura minimalista, storie surreali, incubi metropolitani abitati da personaggi dai nomi improbabili e aneddoti irresistibili; e lo fa utilizzando una vasta gamma di registri, che vanno dal comico al noir. Ne risulta un inno sghembo al tennis e alla vita in generale, che fa' di Ricaldi, la "next big thing" del panorama letterario mediterraneo.