L’antenato dei Tornei giovanili americani ha compiuto 60 anni, qualcosa in più rispetto alle 47 primavere del nostro Trofeo Bonfiglio. Il palmares della competizione è da brividi: John McEnroe, Bjorn Borg, Ivan Lendl, Roger Federer, Andy Roddick, Chris Evert, Gabriela Sabatini, Anna Kournikova ed Elena Dementieva, hanno tutti inciso il primo nome nell’albo d’onore del Torneo. La cornice del Tennis Centre Crandon Park di Key Biscane è da favola del tennis post-moderno: con tutto il rispetto per il blasonato Tennis Club Bonacossa – sede del Bonfiglio – e per l’aristrocratica famiglia Bonacossa, ma il tunnell sottorraneo che dalla locker room conduce ai campi è da brividi, ed i talenti in erba, da ogni parte del mondo, sognano di percorrere questa ideale passerella. Per dirla alla Douglas Coupland, Crandon Park è stato per una settimana il luogo di ritrovo degli “adolescenti globali”, accomunati, chi più chi meno, dalla forza reattiva-esplosiva-balistica e da capacità coordinative fuori dal comune. I protagonisti del circuito junior sin dalla più tenera età vivono costantemente insieme: sempre impegnati a viaggiare, a pernottare negli stessi alberghi, ad allenarsi sugli campi, a frequentare le stesse locker room, a respirare la stessa atmosfera. A differenza dei professionisti, gli “adolescenti globali” sono meno disincantati nello spirito e in continua evoluzione tecnica. Gli alti e bassi sono più frequenti: lo stesso junior player non gioca mai la stessa partita, oggi è perfetto, domani è sciagurato. In molti ravvisano in questa estrema variabilità delle prestazioni l’essenza ed il fascino del circuito giovanile. Sembra quasi che i Numi del tennis si divertano nel dosare questa imprevedibilità, nel capovolgere gli esiti e nel rendere rocamboleschi i match e i tornei. In realtà esiste una spiegazione tecnica del fenomeno: gli juniores sono meno consistenti dei pro, risentono maggiormente della fatica accumulata, e tecnicamente sono delle officine in continuo work in progress. Ma al vostro stralunato cronista piace troppo questa allusione all’intervento degli Dei, l’irrazionale e il metafisico, si sa, “fanno figo”, intrigano e sono in genere piacevoli. Anche l’Orange Bowl non si è sottratto a questa legge non scritta del “disordine”, del “sottosopra”, e nella categoria Under 18 hanno trionfato due outsider – di qualità ma pur sempre outsider: la vezzosa 15enne austriaca – di origine ceca – Nikola Hofmanova si è aggiudicata il torneo femminile; il mancino rumeno Alex Luncanu ha vinto il titolo maschile, interrompendo la striscia positiva di 11 partite di Nicolas Santos. Entrambi hanno un gioco molto aggressivo, spingono parecchio, la loro frequente ricerca del vincente li induce a commettere qualche errore non forzato di troppo (soprattutto nel caso della Hofmanova, che anticipa tutte le palle, a qualsiasi velocità). Ed entrambi, sulla carta, partivano sfavoriti nelle rispettive finali, in particolare la teen ager austriaca, opposta alla potente e più esperta bielorussa Ksenia Milevskaya. Entrambi hanno vinto il primo Torneo “pesante” (di Grado A) in carriera. La Hofmanova addirittura aveva nel suo track record solo una semifinale a Hosaka (non dimentichiamo che ha 15 anni!!!). Entrambi rappresentano la riprova che il gioco ultraggressivo “tutto o niente”, senza margini, il rifiuto sistematico dello scambio prolungato pagano, se attuati da chi ha “mano” e punch. Il ché smentisce i dogmi di tanti coach, che predicano la costruzione del punto a tutti i costi, la ricerca degli angoli, l’arte del contrattacco. Entrambi hanno iscritto per la prima volta il nome del proprio Paese nell’albo d’oro dell’Orange Bowl. Fine del parallelismo.
Wednesday, December 13, 2006
Buon anniversario, Orange Bowl!
Pubblicato da Michael_Pemulis alle 12:22 PM
Etichette: Pianeta Junior
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Terza di Copertina.
"Cementi di Gloria" è l'opera prima di Paolo Ricaldi, aka Mr. Pemulis, che nell'estate 2007 ha girato in lungo e largo i tornei di preparazione agli Us Open - il c.d. minicircuito chiamato Us Open Series - è tornato sano e salvo, anche se un po' intossicato di Tennis, e ci ha raccontato quanto visto, sentito e percepito nel Nuovo Mondo.
In questo reportage, che è un viaggio picaresco nel nordamerica, intorno al "vuoto" dello showbiz, l'autore alterna con grande potenza espressiva cronache sportive esilaranti, pagine di letteratura minimalista, storie surreali, incubi metropolitani abitati da personaggi dai nomi improbabili e aneddoti irresistibili; e lo fa utilizzando una vasta gamma di registri, che vanno dal comico al noir. Ne risulta un inno sghembo al tennis e alla vita in generale, che fa' di Ricaldi, la "next big thing" del panorama letterario mediterraneo.
In questo reportage, che è un viaggio picaresco nel nordamerica, intorno al "vuoto" dello showbiz, l'autore alterna con grande potenza espressiva cronache sportive esilaranti, pagine di letteratura minimalista, storie surreali, incubi metropolitani abitati da personaggi dai nomi improbabili e aneddoti irresistibili; e lo fa utilizzando una vasta gamma di registri, che vanno dal comico al noir. Ne risulta un inno sghembo al tennis e alla vita in generale, che fa' di Ricaldi, la "next big thing" del panorama letterario mediterraneo.
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