Siamo all’ultimo preview dell’ultimo torneo stagionale, che precede di otto giorni l’avvio della Masters Cup di Shangai. Pemulis ha già parlato delle defezioni che hanno contrassegnato il torneo (cinque dei primi sei nel ranking mondiali hanno rinunciato a Bercy) e della non perfetta condizione di chi il torneo lo ha giocato o comunque ci ha provato. Il risultato della combinata azione di questi fattori è una finale inedita per un torneo Masters Series, tra due newcomer a questi livelli: il brutto anatroccolo “Kolya” Davydenko e l’airone Dominik Hrbaty. Per l’audience televisiva e per l’intrattenimento del pubblico parigino non è il massimo, Pem ha raccolto tante proteste degli appassionati del tennis champagne, fatto di vincenti, di giocate imprevedibili e di una sana dose di follia che non guasta mai nello sport inteso come sinonimo di spettacolo.
Detto questo, chi ha giocato a tennis sa quanto è dura farsi strada nel circuito per chi non è nato con il “braccio d’oro”, per chi si è costruito ed ha affinato i fondamentali del tennis nel tempo. Il circuito, per due terzi è formato da questa categoria di giocatori. Che piaccia o meno, la realtà è questa, “la classe operaia” a volte merita il “paradiso” inteso come Olimpo del circuito. E’ giusto, è democratico, e contribuisce anche a spezzare la monotonia della rivalità tra Federer e Nadal. Oltretutto, vedere Hrbaty in una finale di un Masters Series funge da fattore motivante per tanti ragazzi che vagolano nei recessi dei tornei futures o, quando va bene, nelle nebbie dei challenger, senza aver la certezza di fare del gioco che amano una professione. Della serie: “Se ce l’ha fatta Hrbaty, posso farcela anch’io…da oggi m’impegnerò di più e sarò più continuo e meno pigro nel training…e via dicendo”. Vi sembra poco? A Pemulis non di certo.
E poi, a dirla tutta, Kolya e Dominik sono davvero così inguardabili? Il russo (ucraino di nascita) è il giocatore più in forma (fisicamente e forse anche tecnicamente parlando) del circuito, la sua carriera è stata un continuo progredire, il suo gioco è semplice ma efficace, un gran ribattitore che gioca d’anticipo una palla che non è definitiva ma è piena d’insidie per l’avversario; se lo lasci giocare ti sfianca e ti logora fino a farti chiudere il match in apnea. I “criticoni” sostengono che non abbia un gran servizio. Falso. Serve pochi ace ma serve una palla scomoda con una notevole velocità angolare derivante dal top spin che Kolya riesce a generare; serve comunque meglio di Nadal e Nalbandian, tanto per citare due nomi di Top Ten venerati dal grande pubblico.
Quanto a Hrbaty, è un Berdych meno solido e senza servizio, un incontrista che gioca piatto e con poco margine d’errore, il ché quando non sente bene la palla lo porta a perdere match con giocatori sulla carta inferiori a lui. Ma è tutto fuorché un pallettaro, parola di Pemulis. E, infine, ma è solo una “boutade”(?), è uno dei pochi giocatori in attività ad avere un bilancio positivo negli scontri diretti con sua maestà Roger.
Pronostico: favorito Davydenko, che merita di vincere il suo primo Masters Series. Ma non deve avere cali di concentrazione durante il match e deve continuare a servire come ha fatto nei quattro match precedenti.
Sunday, November 05, 2006
BNP Paribas 2006 - Anteprima finale di singolare
Pubblicato da Michael_Pemulis alle 1:21 PM
Etichette: BNP Paribas 2006
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Terza di Copertina.
"Cementi di Gloria" è l'opera prima di Paolo Ricaldi, aka Mr. Pemulis, che nell'estate 2007 ha girato in lungo e largo i tornei di preparazione agli Us Open - il c.d. minicircuito chiamato Us Open Series - è tornato sano e salvo, anche se un po' intossicato di Tennis, e ci ha raccontato quanto visto, sentito e percepito nel Nuovo Mondo.
In questo reportage, che è un viaggio picaresco nel nordamerica, intorno al "vuoto" dello showbiz, l'autore alterna con grande potenza espressiva cronache sportive esilaranti, pagine di letteratura minimalista, storie surreali, incubi metropolitani abitati da personaggi dai nomi improbabili e aneddoti irresistibili; e lo fa utilizzando una vasta gamma di registri, che vanno dal comico al noir. Ne risulta un inno sghembo al tennis e alla vita in generale, che fa' di Ricaldi, la "next big thing" del panorama letterario mediterraneo.
In questo reportage, che è un viaggio picaresco nel nordamerica, intorno al "vuoto" dello showbiz, l'autore alterna con grande potenza espressiva cronache sportive esilaranti, pagine di letteratura minimalista, storie surreali, incubi metropolitani abitati da personaggi dai nomi improbabili e aneddoti irresistibili; e lo fa utilizzando una vasta gamma di registri, che vanno dal comico al noir. Ne risulta un inno sghembo al tennis e alla vita in generale, che fa' di Ricaldi, la "next big thing" del panorama letterario mediterraneo.
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